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COME REALIZZO LE RIBAMBOLE 6: come realizzo le scarpe?

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Siamo all’ultimo passaggio! Infatti, se mi segui, ti sarai divertita/o a cercare una bambola da trasformare, l’avrai lavata, struccata, ridipinta, magari già vestita e ora ti mancano le scarpe. Che nel caso di queste bambole potrebbe essere un problema, dato che, una volta tolte le scarpe originali, se ne vanno anche i piedi!

Ci sono diversi modi per poter realizzare le scarpe di una bambola modello bratz.

Io li ho sperimentati un po’ tutti e per ora mi sono soffermata su uno solamente. Te li illustro tutti, spero il più chiaramente possibile e come sempre, il mio invito è quello di provare e riprovare finché trovi quello che ti soddisfa di più!

Tecnica 1: MODELLARE

Materiale: amido di mais, silicone, colori acrilici, vaselina.

Questa è la mia tecnica preferita, ovvero un impasto di silicone (facilmente reperibile in ferramenta o nei negozi faidate), colore acrilico e amido di mais. Il silicone si può trovare sia bianco che trasparente, per quanto mi riguarda è indifferente, poiché l’aggiunta del colore rende comunque l’impasto colorato.

Il colore va aggiunto in fase di impasto, poiché sul silicone asciutto questo crea una pellicola che solo in un primo momento aderisce al materiale, per poi staccarsi. Mi hanno fatto notare che esiste un silicone che si può dipingere, ma non l’ho ancora provato.

Procedimento: prendi una ciotolina e versa del silicone, una goccia del colore che hai scelto per le tue scarpe e mescola con una spatolina. Quando il colore è amalgamato, aggiungi l’amido di mais e lavoralo sempre con una spatolina finché ti sembra della consistenza adatta per essere lavorato, ovvero che non si appiccichi alle mani ma sia una pasta morbida, molto simile al pongo.

A differenza del pongo però, asciuga abbastanza in fretta e non è più recuperabile, per cui velocemente andrà modellato sulle gambe della bambola.

Quindi ungi le gambe della bambola con la vaselina (altrimenti, una volta asciutte, le scarpe non si staccheranno più!), e fai due rotolini di pasta. Infila ciascun rotolino per gamba, decidendo a che altezza del polpaccio termineranno le scarpe (possono essere scarponcini o stivali). Quindi lavora la forma dei piedi.  Qui i tentativi sono infiniti prima di arrivare ad un risultato soddisfacente!

Una variante della lavorazione del silicone è quello di immergerlo in una ciotolina di acqua e detersivo per i piatti, si ottiene così una miscela scivolosa che preserva le mani dall’attaccatura del silicone, veramente fastidioso poi da togliere. Nel caso di mani impiastricciate, non usare l’acqua ma toglilo prima con la spatolina, o con lo scottex e solo come ultimo passaggio con acqua e sapone.

C’è chi consiglia i guanti, per preservare giustamente le mani, ma personalmente non riesco a lavorare bene.

Vantaggi: buon controllo nella lavorazione

Svantaggi: il silicone asciuga abbastanza in fretta, per cui c’è poco tempo per realizzare le scarpe.

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Questo metodo poi, consente di realizzare scarponcini o stivali, difficilmente si riescono a realizzare scarpe basse poiché non si ha abbastanza “aggancio” alle gambe. Una soluzione che si può adottare è quella di pensare alla parte superiore (che sale sulla gamba) come ad un calzino. Difficilmente però, almeno per me, è realizzabile il solo piede “in aggiunta” alla gamba. Ma ci sto lavorando…ti farò sapere!

 

Tecnica 2: IL CALCO

Materiale: silicone, colla a caldo, colori acrilici, vaselina, un paio di piedi/scarpe originali, scatolina di plastica, spatolina.

Procedimento: in una scatolina di plastica abbastanza profonda (io uso quella della robiola), versa un impasto di silicone e amido di mais che avrai precedentemente impastato (come nella tecnica precedente). Mentre è ancora morbido, immergi le scarpe originali dopo averle spalmate in ogni loro parte con la vaselina. Immergile a rovescio, in modo da vedere le piante dei piedi.

Attendi che il silicone si asciughi e togli le scarpe.

Ora, con la colla a caldo riempi lo spazio lasciato dalle scarpe che hai tolto. Riempi bene, magari mescola con uno stuzzicadenti in modo da far uscire tutta l’aria ed evitare che rimangano delle bolle. Una volta asciugata la colla, estrai i due calchi delle scarpe. Potranno essere irregolari, quindi puoi lavorarle con un accendino in modo da colare le sbavature. Con i colori acrilici puoi quindi colorare le scarpe o i piedi, così terminati.

La sfida è riuscire ad ottenere un attacco alla gamba della bambola che sia efficace, io ho provato e riprovato il calco più volte ma ancora non sono soddisfatta del risultato

Variante: invece di colorarle, le nuove scarpe possono essere rivestite con della stoffa, vi segnalo questa artista e il suo tutorial, molto elaborato ma il risultato è meraviglioso!

Un’altra variante riguarda il materiale: esistono in commercio paste specifiche per ottenere calchi con cui realizzare piccoli oggetti in silicone (si entra nel mondo di chi crea miniature). Personalmente ho acquistato un prodotto simile ma non l’ho ancora provato, appena farò un tentativo scriverò com’è andata.

Vantaggi: maggior precisione nella similitudine tra i due piedi/scarpe. Si riescono a realizzare i piedi nudi! Occorre un po’ di tempo per scegliere il colore giusto, ovvero uguale alla carnagione della bambola, ma così facendo può indossare ciabatte, ballerine, sandali e non solo scarponcini!

Svantaggi: bolle d’aria, numerosi passaggi e non sempre l’attacco alle gambe viene bene

Tecnica 3: PASTA MODELLABILE

Materiale: pasta modellabile di origine plastica tipo questa, vasellina

Procedimento: una volta estratta la pasta dal suo contenitore si procede a modellarla sulle gambe, usando sempre della vaselina perché non si appiccichi alla gamba della bambola. Asciuga in fretta ma non in fretta come il silicone, per cui concede un po’ più tempo per la lavorazione.

Vantaggi: molto veloce

Svantaggi: metodo costoso, colori limitati e già predisposti (per quel che mi riguarda troppo brillanti)

Tecnica 4, che è più una soluzione: MANTENERE LE SCARPE ORIGINALI

Infine c’è chi utilizza le scarpe originali e le lavora, magari toglie il tacco e riesce ad appiattirlo, colando la plastica ma personalmente, trovo la cosa alquanto tossica, oltre al fatto che non m sembra venga un bel lavoro! Nella marea di modelli comunque, esistono scarpe originali non imbarazzanti (ovvero zeppate o con tacchi vertiginosi) che possono comunque essere adatte alla nostra bambola nuova!

Aspetto di sapere se farai dei tentativi e quale ti sembra il metodo migliore! Buon lavoro e buon divertimento!!

p.s. : per il link che ti ho lasciato non ho nessun accordo con aziende e/o persone che vendono e/o sponsorizzano i prodotti che ti presento

Non solo Ribambole!

Lo scorso anno, all’ incirca in questo periodo mi sono buttata in un’avventura straordinaria, e so che chi è appassionato del riuso, del faidate, del recupero di oggetti vecchi ma dalle mille potenzialità mi può capire.

Nonna ci ha lasciati cinque anni fa, la sua grande casa è stata messa in vendita, ma prima di lasciarla ho chiesto il permesso di poter prendere alcune cose. Non parlo di cosine, o meglio anche quelle (come una camicia di nonna che conserva il suo profumo di sugo e orto e che ha trovato posto nel mio cassetto dei ricordi), ma di cose vere e proprie: mobili. Grandi mobili ingombranti, ricchi di storia ma anche di polvere, qualche tarlo, fiocchi di umidità qua e là e carta da parati anni settanta incollata per bene.

“Che meraviglia!” ho detto io!

“Sei fuori!” ha detto mio papà.

Il mio papà che fra quei mobili ci è cresciuto e che quindi mentre li smontavamo mi raccontava di quando erano stati comprati dal nonno, negli anni ’50…i primi acquisti importanti per una nuova casa grande e vuota. Di quando, preso da non so quale pulsione artistica, ha pensato bene di riverniciare le gambe del tavolo di un gradevole colore ad olio marrone scuro, o di che cosa si ricorda conservassero un tempo. Tutto questo li rende unici, ho pensato…ancora più meraviglia!

Tutto ciò poi è coinciso con il trasloco nella nostra nuova casa, dove ho guadagnato uno spazio sottotetto tutto a mia disposizione, una grande stanza in cui la luce filtra da finestre basse con sfumature diverse ogni ora del giorno, fornita del solo nostro ex-tavolo da cucina ikea 90cmx90cm e una poltroncina/sedia da studio. Quella stanza aveva bisogno di qualcosa di speciale, e anche di economico.

Coincidenza perfetta quindi:

mobili con una storia da raccontare

voglia di provare a rimettere in vita qualcosa

necessità di arredare una stanza!

E quindi ve li vengo a presentare: tra quanto c’era ho selezionato una credenza da cucina dal design anni 50 con tanto di vetrinetta e specchiera decorativa, un tavolone da pranzo in legno, e un armadio a tre ante dalle linee sobrie (comprensivo di appunti a matita qua e là del falegname che l’ha costruito). Di seguito vi mostro un po’ di foto.

E veniamo al restyling, ve lo racconto pezzo per pezzo…erano anni che volevo cimentarmi nel recupero di vecchi mobili, non avevo nessuna esperienza, ho letto qualcosa in internet, qualche video su youtube (di cui segnalo questo post di tulimami) e ho approfittato largamente dell’esperienza (e dell’aiuto) del mio papà e delle sue intuizioni pratiche.

LA RiCREDENZA

Sulle foto del prima sono un po’ carente, nel senso che quando ho chiesto di poter avere la credenza, i miei uomini l’hanno dovuta smontare per trasportarla dal secondo piano della casa di nonna e io, mannaggia, mi son persa l’occasione di fare una foto del prima come si deve. Ho foto del mobile spezzettato, che per lo meno rende l’idea delle condizioni di partenza:

La cosa che più mi ha fatto soffrire, anzi ci ha fatto (perché ho chiesto aiuto a chiunque passasse dal garage a vedere che facevo), è stato liberarsi della carta decorativa appiccicata ai ripiani che non saprei dire essere stata originale o frutto di un impeto artistico (sì lo so, ho una famiglia di artisti) di nonna o qualche zia, che ha ben visto di abbellirla. Fatto sta che la colla usata è qualcosa di micidiale, per la formula chimica oscura, o per la vecchiaia, si tratta di una sostanza crostosa impossibile da togliere. Ho provato varie soluzioni, più o meno intuitive (levigatrice, aceto, soda…) finché nel web ho trovato la risposta: la gomma da cancellare!

IMG_20181012_102444Ebbene sì, strofinando la gomma bianca su questo impasto, tutto vien via. Non in poco tempo comunque, anzi. Mentre scrivo, a distanza di un anno, il mio braccio ricorda quel blocco sull’avambraccio e il pulsare la notte per l’intenso strofinamento. Abbiamo fatto fuori una decina di gomme, ma tutto è stato ripulito!

Fatto questo, ovvero il passaggio pulizia, soprattutto delle parti interne, sono passata a levigare le parti esterne, con tutta la polvere, il rumore e la soddisfazione che solo chi ha provato può capire!

Un passaggio di antitarlo, suggerito dal vicino falegname e uno di impregnante, sono stati d’obbligo.

La tentazione poi di lasciare il legno così naturale era forte, personalmente amo il colore del legno in qualsiasi sfumatura. Ma mettere mani fino in fondo a questo mobile, tirarne fuori una nuova personalità era un desiderio creativo troppo grande, quindi ho sfoderato un acquisto fatto di cuore qualche mese prima (senza uno specifico progetto) e mi sono cimentata nella chalkpaint, o pittura gessosa.

Ora, da quel che ho capito, la scuola della riverniciatura dei mobili insegna due principali metodi: il più classico, ovvero cementite e poi vernice per legno, o la chalkpaint: nessun passaggio precedente, se non una pulizia a fondo con panno e aceto. E un passaggio di cera (profumatissima) una volta asciutta. Questa seconda mi sembrava più adatta alle mie capacità! Temevo un po’ l’effetto countrychic, che personalmente non amo, ma devo dire che scegliendo un colore deciso questo rischio viene un po’ meno.

E quindi, ecco la scelta: blu napoleone! Ma lasciando naturali i bordi in faggio originali (su consiglio di papà). E spezzando con interni foderati in carta da parati (di quelle moderne, facili da togliere!)…eccola qui:

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Per essere onesta ammetto di non aver conservato tutti i pezzi: il retro della credenza era “abbellito” da un pannello composto da specchietti che no, non ce l’ho fatta…non amo così tanto il vintage! Però li ho conservati e chissà cosa ne verrà fuori. Altra cosa che ho eliminato era l’antina in vetro trasparente con decorazione a tema nautico smerigliata, anche qui, il vintage non è la mia passione. Perdonatemi!

IL RiTAVOLO

Il tavolo è un bel tavolone da pranzo, in pino. Era il tavolo dei pranzi della famiglia allargata, con gli zii e i cugini, al quale si aggiungeva quello della cucina con quel patchwork di tovaglie meraviglioso. Per il resto dell’anno se ne stava coperto da una tovaglia verde prato, qualche portafoto con parenti a me più e meno conosciuti, una sveglia rossa e un vaso in ceramica (posso dirlo? In stile horror vintage) con tanto di fiori in plastica. Nel cassettino nonna teneva gli occhiali, anche quelli del nonno ormai non più con noi da 30 anni, scatole di bottoni, le bollette tenute assieme da un elastico, il portamonete in pelle nera, penne, matite, qualche foto e santino sparsi, e chissà cos’altro. Il fatto che tutto questo sia ancora qui, a fianco a me mentre scrivo, mi fa sentire bene, non so come altro spiegarlo.

Il piano era al naturale, con tutti i segni del tempo. Le gambe, come accennavo, erano state tinte di un bel marrone lucido (alla domanda del perché non è stata data risposta). Ho quindi levigato il piano, portando via un buono strato di polvere, segni e graffi con l’effetto di alleggerirne la tonalità. Ho poi passato un paio di mani di impregnante e l’ho lasciato così, al naturale.

Per le gambe ho tentato di levigare…ma l’impresa si è rivelata ardua: il colore ad olio ha una buona presa, che resiste nel tempo. Per cui mi sono affidata, ancora una volta, alla prodigiosa pittura gessosa e con due mani, ho schiarito anche le gambe, ora di un bel panna. L’effetto è, effettivamente, abbastanza chabbychic, ma non eccessivo.

IL RiARMADIO

L’armadio ha subito meno passaggi: niente pittura ma ore, ore ed ore ed ore di levigatura. Che sono servite a togliere una tonalità molto scura di vernice per legno, per scoprirne una tonalità di legno naturale bellissima, impossibile pensare di ridipingerla. Un passaggio di antitarlo e una verniciata di impregnante.

Quindi è qui a fianco a me in quello che credo essere un abete chiaro. Ho sostituito le maniglie, oramai irreparabili e nemmeno così belle, con dei pomelli color oro non troppo brillante, che creano quasi un effetto tono su tono. L’armadio che ricordo poco, se non per aver conservato negli anni il vestito da sposa di una zia, bianco e spumoso, di cui ci è stata concessa anche una prova, a me e amia sorella bambine, in una calda estate per gioco.

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CONSIGLI VARI E SPARSI da chi per la prima volta ha recuperato vecchi mobili!

Per la PITTURA: non sono in grado di dare consigli sulle migliori chalkpaint in commercio, io ho utilizzato una marca italiana acquistata in quel folle posto che è Abilmente Vicenza, dove mi hanno spiegato in poche mosse come usarla, quanta me ne serviva e che pennelli utilizzare (che ho acquistato sempre da loro). Ho provato anche una marca che si trova facilmente nei grandi negozi faidate, leggermente più economica e che effettivamente, ha richiesto più stesure per l’effetto che cercavo.

Se volete appassionarvi, esiste una guru della chalkpaint: si chiama Anne Sloan, fonte di ispirazione inesauribile per chi si appassiona al restyling di mobili.

La carta adesiva che ho utilizzato per rivestire i mobili l’ho acquistata da questo sito. Nella sezione offerte esistono “scampoli” (si può dire anche per la carta?) dalle misure già date e, a parte quelli che ho sfruttato per i mobili, ho fatto scorta di pezzi e pezzetti meravigliosi che forse un giorno avranno uno scopo.

Nel cercare la carta ho dato un’occhiata anche a questo sito, bellissimo, la carta è di qualità elevatissima (l’ho potuto sperimentare grazie a dei campioni che possono essere acquistati ad un prezzo ragionevole, più o meno in formato A4). Tuttavia, è pura carta da parati, quindi non adesiva: richiede l’acquisto anche della colla e anche, immagino, una certa manualità e io, con i miei mobili pieni di angolini e ritagli non ero sicura di volerci provare. Da ultimo, il costo superava il mio budget.

Cose come antitarlo, impregnante, levigatrice, carta abrasiva sono state affidate al marito che non vede l’ora di avere occasione di frequentare quegli interessantissimi posti che sono i negozi del faidate. La cosa lo ha talmente appassionato che nel mezzo dei lavori abbiamo sostituito la levigatrice in prestito da un amico, con una nuova, ora impegnata con le imposte della nuova casa (la scusa era ottima!).

Ecco quindi la mia esperienza: non solo bambole quindi…tutto può avere una seconda chance! E soprattutto è una cosa alla portata di tutti…provateci! La soddisfazione è immensa!

 

Bambole da giardino e da giocare

 “…quel giorno la sua bambola festeggiava il suo primo compleanno”

ribambole unafestapergiuliettaA differenza dei libri di cui finora ho scritto, ovvero libri figli di una casa editrice oltre che degli autori, e quindi ritrovabili nel circuito commerciale più diffuso, oggi voglio scrivere di un libro di quelli nascosti, che nasce dalla collaborazione di tre artiste, che hanno voluto mettere in circolo una storia semplice e delicata.

L’ho scoperto grazie ai social (dai che ogni tanto servono!), grazie ai quali ho conosciuto per prima nounou dolls e le sue bellissime bambole di stoffa, e quindi poi anche questa sua creatura, nata in collaborazione con altre artigiane italiane: nounou dolls, l’amarti e tomama, UNA FESTA PER GIULIETTA, 2018, autoprodotto, disponibile sul negozio Etsy di nounou dolls.

Le cose che mi hanno da subito incuriosito sono state:

  • il fatto che, come immaginerai, nella storia ci sono delle bambole (e che sono quelle confezionate dall’ artista in questione);
  • il fatto che a comporlo, non sono scrittrici di professione ma mamme e zie ispirate “alla quotidianità delle nostre bimbe e i giorni passati a giocare.” (scritto in calce al libro);
  • il fatto che non ci siano illustrazioni ma fotografie!

In particolare, per quest’ultimo punto ero davvero curiosa: esistono pochi libri fotografici per bambini, se poi escludiamo tutti quei “libretti” per la prima infanzia con foto di oggetti, ne rimangono ancor meno. Di quelli fatti bene, intendiamoci. E la cosa mi dispiace non per una mia semplice passione, ma per la forza che possono avere le fotografie nei libri per bambini: creano immedesimazione, ispirano ricordi e pensieri, stimolano uno sguardo sul reale che gli/le sarà fondamentale per tutta la vita (viviamo nell’epoca delle immagini, no?!). Lo si può vedere guardando i bambini stessi che ne sono attratti, soprattutto quando vengono ritratti bambini e bambine come loro.

Così la curiosità ha fatto il tutto, ho acquistato il libro sul negozio Etsy di nunoudolls e ho aspettato. “Una festa per Giulietta” è arrivato ed è stato subito meraviglia.

La storia è semplice, un semplice inteso nelle migliori delle accezioni: come quando si dice che i giochi dei bambini sono semplici, ma sappiamo bene quanta serietà e complessità può starci dentro.

Lo sguardo è esterno, di chi guarda con affetto tre bimbe giocare, un affetto pieno, tanto  che a tratti questo libro potrebbe sembrare un album di famiglia. Perché si parla di quotidianità: di un pomeriggio di sole, di amiche che si incontrano per giocare, partendo dal compleanno di una bambola per poi lasciarsi trasportare dal gioco che finisce in una tinozza d’acqua, a rinfrescarsi e a mangiare cocomeri!

Olivia, Bianca e Rosa sono bambine vere che non rimangono a giocare con le loro bambole come vorrebbe una certa tradizione romantica per tutto il pomeriggio, ma di bambine (e bambole comprese) che fanno gesti maldestri e che ad un certo punto si tolgono i vestiti e si stringono in un secchio d’acqua per rinfrescarsi!

Le foto lo sono altrettanto. Il rischio che risultasse un libro “mieloso” poteva esserci: thé e bambole, tre bambine, il giardino assolato…ma non lo è, è poetico.

Le foto sembrano quelle di una qualsiasi mamma (ma molto brava come fotografa!) che non aggiunge interpretazioni a ciò che vede, ma osserva con attenzione ciò che le bimbe combinano. Ha consentito loro di usare la teiera e le tazzine vere, sapendo che il gioco acquisterà un ché di speciale, ed è lì che le osserva, un po’ in disparte ma partecipe, che magari ripensa a sé stessa un po’ di anni prima e si riscopre nei gesti delle piccole.

Questo un po’, lo ammetto, è successo a me: mi sono rivista stretta nella tinozza d’acqua, un bel po’ di tempo fa, in tre più qualche bambola, tra calura, risate, fette di anguria e spruzzi…

Per cui, in questo libro le bambole ci sono, ma c’è anche molto altro: la straordinarietà dei gesti quotidiani, del gioco bambino che saltella tra l’immaginazione e la realtà e la capacità di raccontarlo con tanta delicatezza.

p.s. Dettaglio: il libro è arrivato avvolto nella velina, tenuta assieme da un nastro d velo e con tanto di bustina di fiori essiccati…poesia dentro e fuori!

COME REALIZZO LE RIBAMBOLE 5: come le vesto?

ribamboleSe mi hai seguita fin qui con la tua bambola da rifare, ovvero trovata, ripulita, cancellata e ridipinta, possiamo passare a rivestirla! Sì perché non so a te, ma a me i vestitini delle bambole tipo bratz suonano un po’ come un invito alla provocazione che poco mi pare adatto ad una bambina reale, e non solo ad una bambina forse!

Questa parte è un po’ difficile da spiegare…nel senso che, veramente, è un work in progress anche per me! Non so cucire, o meglio cucio come posso, sulla base di intuito e qualche consiglio di mia mamma. Dovrei anche avere, da qualche parte nel cervello, qualcosa che assomigli a delle nozioni di cucito base, apprese in un corso di cucito per principianti seguito un po’ di tempo fa…quando rimpinzavo il mio tempo libero con la qualunque! Purtroppo, complici forse i troppi impegni e una tesi da scrivere, di quel corso ricordo poco, pochissimo e mi riprometto, prima o poi, di rimettermici…

Nel frattempo, cosa ho fatto con le Ribambole? Ho chiesto aiuto!

A mamma ed una cara amica, Sandra, chiedo di realizzare golfini e coprispalle con la tecnica della maglia e dell’uncinetto. A Vanessa invece, mia vicina di un tempo, commissiono piccoli abiti in stoffa: vestiti, pantaloni e pantaloncini. E per finire, non posso dimenticare anche Francesca, che realizza delle perfette asole per i bottoni degli abiti. Come potrai capire ho una piccola squadra che mi supporta e si diverte con me! Inizialmente consegnavo loro stoffe e filati, qualche bozzetto e delle idee…poi piano piano ho smesso di farlo, qualche volta consegno loro solo la Ribambola pronta per essere vestita e mi gusto la sorpresa di vedere cos’hanno confezionato a partire dalla loro fantasia.

Per quel che mi riguarda, ad oggi, mi sto specializzando in scamiciati, che a volte mi diverto a dipingere  a mano. Oltre a questo non mi sento proprio di poter insegnare nulla! Piuttosto ti posso dare degli spunti, quindi eccoli:

Materiali: usato, usato e ancora usato!

Come per le bambole io ho fatto questa scelta: riutilizzarePer cui se non ho già in casa pezzi di stoffa recuperati da qualche abito smesso o da campionari di arredamento che conservo dal mio vecchio lavoro (facevo l’arredatrice), ho acquistato al mercatino dell’usato qualche abito dalle fantasie molto piccole adatto a realizzare gli abiti delle Ribambole (in particolare, fruga nel reparto bambina 0-3).  Una cosa straordinaria che mia mamma riesce a fare poi, è recuperare calzini! Pantaloni e felpe provengono spesso da un calzino smesso…prometto che ne farò un tutorial!

Tecniche

Come sopra avari letto, chi sono io per insegnare a cucire? Però posso darti qualche link utile!  E se non sai già cucire o lavorare a maglia/uncinetto, datti l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo come sto facendo io (ci provo!). Dopo aver esplorato un po’ il web ho trovato questi LINK UTILI che mi hanno aiutato ad iniziare.

Per le misure precise, adatte ad una bambola tipo Bratz, ti lascio il link di un’artista americana. Offre misure (in pollici, non in centimetri!) nonché cartamodelli e tutorial semplici per realizzare abiti in stoffa e molto altro, per bambole tipo bratz e non solo (fidati, ci sono riuscita anch’io!): Grace Filled Hands.

La seconda artista, famosissima ormai nel campo delle bratz ridipinte, che forse ha proprio il merito di aver diffuso questo modo di recuperare le bambole, è Sonia Singh che nel suo negozio Etsy offre tutorial per realizzare abiti e maglioncini con il lavoro all’uncinetto e a maglia, oltre alle bambole stesse, ovviamente:Tree Change Dolls.

Per entrambe ti consiglio poi di visitare siti e pagine, per scoprire due artiste straordinarie!

Forza allora, recupera qualche scampolo e vestiamo questa bambola…magari sai già cucire, chissà che capolavoro ne farai! Se ti fa piacere mandami qualche foto! E nel prossimo post penseremo alle scarpe!

P.S. Gli abiti non devono essere perfetti! E soprattutto se stai realizzando una bambola con la tua bimba, non è detto che si debba per forza cucire…ricordi quando da piccola, ti improvvisavi stilista con pezzi di stoffa recuperata e qualche spillo? O la pinzatrice? O la colla a caldo? Vale tutto! Divertiti!

Una bambola che scrive e riscrive…

libri letti da Ribambole. E così spero di teIngrid , intenta a immaginare la nuova vita della sua bambola, non è più triste”

Sono felicissima di scoprire che mentre sono alla ricerca di libri su e di bambole già esistenti, ne nascono altri di nuovi! E non solo, scopro che nascono libri che raccontano storie già raccontate, ma con altre parole e altre illustrazioni, e trovo questo straordinario: significa che sono storie che hanno il potere di ispirare persone diverse in posti diversi del mondo! Magnifico!

In questo post di libri volevo infatti parlarvi di un albo illustrato, di grande formato, uscito pochi mesi fa in libreria, che racconta dell’episodio che vede per protagonisti lo scrittore Franz Kafka e una bimba che incontra al parco, triste per la perdita della sua bambola. Commosso dalla disperazione della piccola, lo scrittore si improvvisa postino delle bambole, scrivendo e leggendo le lettere della bambola scomparsa e inventandone i viaggi. Se avete già letto qualcosa del mio blog, avrete capito che la storia è la stessa narrata da questo libro.

La differenza è che invece di un romanzo, questo libro è un albo illustrato. Si tratta di E COSÌ SPERO DI TE. STORIA QUASI VERA DI UNA BAMBOLA GIRAMONDO, scritto da Didier Lévi e illustrato da Tiziana Romanin per Terre di mezzo Editore, 2018 (ed.originale Serbacane, Paris, 2016).

Se mancava qualcosa infatti al romanzo erano proprio delle illustrazioni realizzate qui con un’ accuratissima attenzione ai dettagli storici, che collocano la storia nel tempo e nello spazio, evocano i volti dei personaggi, ne esaltano le emozioni, immergendoli nell’ atmosfera calda di un fine novembre al sole.

Tuttavia le storie narrate dai due libri sono un po’ diverse: le memorie di Dora, compagna di Kafka e dai cui scritti prendono spunto queste narrazioni, probabilmente hanno ispirato diverse intuizioni. Non posso dire se uno sia migliore dell’altro: aver incontrato prima il romanzo non può che farmi notare le differenze che, ammetto, talvolta mi hanno un po’ stranito.  Così, ad esempio, la bambina cambia nome, si chiama Ingrid ed ha i capelli biondi cortissimi, che la fanno sembrare “un uccellino caduto dal nido”, apparendo quindi molto più debole della piccola Elsi, che interloquisce con Kafka senza lasciarsi intimidire.  Oppure Franz, nei suoi incontri con la bimba, è sempre accompagnato da Dora, un’innamoratissima Dora che non lo lascia mai solo, mentre nel romanzo, a casa, si chiede se ciò che sta facendo Franz abbia un senso, e soprattutto si preoccupa per la sua salute. Sono piccole sfumature, come dicevo, che però colorano in modo diverso questa tenera storia.

Come vuole il linguaggio dell’albo illustrato le parole sono poche ma intrecciate alle illustrazioni, capaci di dar forma a metafore bellissime, tutte riguardanti il passare del tempo, la crescita, il superamento di un momento difficile grazie alla potenza di una storia. La sinteticità del racconto dell’albo, quasi paradossalmente, spazia su un tempo più disteso. Così, la partenza della bambola, e in particolare il suo matrimonio, si specchiano nella crescita di Ingrid: anche lei, ora che la sua bambola è andata, può crescere, come se avesse superato una sorta di rito di passaggio: i capelli le sono cresciuti e non è più un uccellino. E con loro, anche Franz supera i suoi ultimi e difficili giorni di vita: l’inverno arriva e gli regala, finalmente, il riposo dopo quest’ultima e tenera fatica: l’essersi avvicinato al dolore di una bambina e averle infuso speranza nella vita, nonostante per lui sia sempre stata fonte di sofferenza.

A differenza del romanzo forse qui la centratura è più sugli adulti: Franz e la sua malinconia, Franz e Dora con il loro amore dolcissimo, la bambola, anche lei adulta che purtroppo, perde un po’ della magia che il romanzo le ha saputo dare….ma una bambola, e il suo affetto per lei da parte di una bambina, è ancora una volta ciò che ha ispirato una storia!

 

 

COME REALIZZO LE RIBAMBOLE 4: come le ridipingo?

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A questo punto, dopo aver recuperato una o più bambole , lavate e profumate e aver tolto quegli occhi , puoi finalmente divertirti a darle un nuovo volto.

Non ho chissà che cosa da insegnarti, posso solo raccontarti che cosa utilizzo e come faccio io, senza pretesa che questo sia l’unico modo per creare nuove bambole…anzi!Il mondo è pieno di altri modi e strumenti da usare che io stessa sto ancora esplorando.

Il consiglio che posso darti è leggere questo post, trovare qualche ispirazione e partire con un tuo modo di lavorare.

Quindi, andiamo con ordine, partendo dai materiali.

Colori e pennelli

Per quanto riguarda i colori ho sin dall’ inizio utilizzato i colori acrilici: asciugano in fretta ed essendo resistenti all’ acqua, una pennellata può sovrapporsi all’ altra senza che il colore sottostante si sciolga e “rovini” il precedente.  Ciò significa che se da un lato è molto difficile creare delle sfumature, soprattutto su superfici piccolissime, è anche facile coprire eventuali sbavature sovrapponendo colore su colore. Sulla marca dei colori c’è un mondo da scoprire. Avendone una buona scorta già in casa, non ho ancora acquistato colori nuovi ma ho testato ciò di cui già disponevo. Si tratta di colori acrilici professionali, che avevo per realizzare illustrazioni sulla carta, per cui non economici ma nemmeno eccessivamente costosi.

Come tutti gli strumenti, vanno un po’ conosciuti: se non hai mai usato i colori acrilici ti consiglio di provarli prima sulla carta, ma anche su altre superfici: uno dei loro pregi è che hanno una buona presa ovunque.

Ai colori “ a pennello” affianco poi qualche pastello in polvere (anche qui si tratta di colori professionali) che mi consente di realizzare qualche sfumatura soprattutto nella realizzazione degli occhi e delle guance.

I pennelli, come immaginerai, sono i più piccoli che si possono trovare: punta rotonda, pelo morbido, misura 00, 0 e 1.

Considera che comunque sarà la tua mano ad utilizzarli, con la sua presa più o meno delicata, tremolante o decisa, veloce o lenta…che chiama quindi un pennello ideale che sta a te scovare provando e riprovandone di diverso tipo. L’unico consiglio che mi sento di darti è investire tempo, per provare, piuttosto che soldi, per acquistare pennelli e stra-costosi: gran parte dei pennelli che uso erano un 3,4 , 7 o più a cui ho tagliato i peli in eccesso!

Altro unico materiale che può risultare utile è una vernice, da stendere sul colore. Questa garantisce una maggiore resistenza all’ acqua, perché si sa che una bambola, almeno una volta nella vita, merita un bel bagno o una nuotata in piscina! Ricorda comunque che la resistenza, purtroppo, non potrà mai essere quella delle vernici industriali con cui la bambola è stata originariamente realizzata. Se questo è un peccato, può però anche significare che ad un certo punto della sua vita, a questa bambola andrà regalato un faccino nuovo ancora una volta! Per la vernice ho fatto, anche qui, alcuni tentativi e ad oggi, la migliore soluzione è una vernice opaca pensata proprio per i colori acrilici.

La tecnica

Se ami dipingere cose piccolissime, e soprattutto volti (come il mio caso), allora questa è la tua attività creativa per eccellenza!

Ora ti illustrerò le fasi che seguo io per realizzare una Ribambola, ma ti ripeto: sperimenta e trova un tuo modo per realizzare le tue bambole!

  1. Fai qualche esercizio su carta, soprattutto per gli occhi: prendi spunto da qualche foto e copia un po’ di occhi, studiane la struttura, i colori. Parti da un grande formato (più o meno quello reale) per poi ridurli sempre di più, sino alla grandezza che andrà poi realizzata sulla bambola; esercitati a realizzarli in coppia: gli occhi sono due!

  2. Gli occhi: io realizzo prima un leggerissimo schizzo a matita delle dimensioni, soprattutto per controllare che vengano della stessa grandezza e ben posizionati. Procedo poi con il dipingere l’intera superficie totalmente di bianco, quindi sopra realizzo l’ iride colorata, talvolta usando anche un pastello per realizzare qualche sfumatura, la pupilla, le palpebre (studiando un colore simile a quello della pelle della bambola) e quindi aggiungo uno o due puntini bianchi per renderli “vivi”.

  3. Le sopracciglia sono fondamentali per dare espressione a volto: la loro inclinazione decide se la tua bambola è felice, triste, preoccupata, malinconica, tranquilla, pensierosa, arrabbiata… Per questo motivo, qui spesso faccio e disfo: dopo una leggerissima traccia a matita, realizzo le sopracciglia con piccolissimi segni di pennello. Lascio la bambola per qualche ora e poi torno a guardarla, e decido se lasciare o rifare daccapo.

  4. Le labbra: sono abbastanza semplici da realizzare e puoi decidere se sfruttare la fessura tra labbro superiore e labbro inferiore, dipingendo qualche dentino.

  5. I “segni particolari”: intendo guance e lentiggini. Con i pasetlli utilizzo una quantità piccolissima di polvere che con il dito distribuisco sulle guance, dando così più morbidezza al volto. Talvolta aggiungo anche alcune, o molte, lentiggini. Inizialmente non riuscivo ad uscirne, per cui spargevo lentiggini su ogni Ribambola…ma poi mi sono guardata intorno, e le bambine vere non hanno sempre le lentiggini! Anzi! Ma quanto abbiamo, nella mente, un’immagine di bambola dai capelli rossi, magari raccolti in due trecce e rispettive lentiggini?!

Infine, realizzato tutto questo, stendo un delicatissimo velo di vernice. Sulle labbra stendo anche un secondo strato: essendo la parte più sporgente del volto, ho notato che spesso si rovinano prima del resto. Poi, faccio una prova di resistenza, immergendo la bambola in acqua e sapone per 15/20 minuti, per controllare che il tutto rimanga.

Consigli

Sono convinta che questa sia la fase più bella, per cui divertiti! Ed è la fase in cui io faccio e disfo di più: quando ridipingo una nuova Ribambola  non è detto che mi convinca subito, spesso ho dipinto bambole fin all’ ultimo dettaglio per poi, magari qualche giorno dopo, sentire che quello non era il suo faccino: il colore degli occhi, la forma delle labbra…qualcosa andava cambiato, per cui riprendo l’acetone, cancello tutto e riparto. Talvolta è il faccino sbagliato, talvolta ci sono errori tecnici che non sopporto di lasciare (questo accade molto spesso), in ogni caso mi lascio il tempo di capire, o meglio, sentire, se sono riuscita a dare un’anima a quel pezzo di plastica da recuperare. Per cui il mio secondo consiglio è questo: datti tempo!

Colleziona facce! Quando ho iniziato a realizzare le Ribambole, dopo qualche tentativo lasciato al caso, ho attinto da un mio archivio di ispirazioni: ho una cartellina in cui conservo foto e ritagli di volti, alcuni conosciuti, altri no, e poi mi sono creata questa cosa qui su pinterest, che alimento costantemente di nuovi spunti. La cosa difficile è scovare volti non troppo ritoccati (che nel web e nelle riviste abbondano!) ma cercare facce di piccole persone reali! In questo caso, ben vengano foto di bimbe e bimbi veri che conosci!

Quanto vorrei una bambola tutta per me!

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Proprio così:quella che stava crescendo nel mio orticello era una bambola

Quando ho iniziato la mia ricerca di libri che parlassero di bambole, il primo a che ho recuperato dalla mia biblioteca è stato decisamente un albo illustrato, di grande formato, scritto da Astrid Lindgren (la mamma di Pippi Calzelunghe per intenderci): MIRABELL, illustrato da Pija Lindenbaum, edito da Mottajunior, 2007 (prima edizione:2002, scritta da Astrid Liengren nel 1949).

Sul livello della scrittura di questa autrice non mi pronuncio: non credo serva sottolineare l’ovvietà. Preferisco piuttosto dirle un grazie, certo per Pippi, ma ci sono tantissimi altri personaggi, in altri suoi libri che ho amato forse anche più. E tra questi c’è Britta.

Britta è una bimbetta modestissima (quando si presenta ci tiene a precisare che il suo nome non c’entra con la storia, pur essendone la protagonista!), alla quale l’illustratrice di questa edizione regala per compagna di giochi, una gallina bianca. Vive con i suoi genitori, che non se la passano bene: il padre è un contadino che vende frutta al mercato per pochi soldi, che la madre fatica a far bastare per ciò che serve loro per vivere. Vivono in una casina isolata, in campagna.

E in tutto questa, Britta desidera tanto, tanto, tantissimo una bambola.

Il suo è un desiderio fortissimo, vorrebbe smettere di provarlo, perché sa che non sarà mai possibile date le condizioni della sua famiglia, ma non ci riesce. Coltiva il suo desiderio nonostante.

E come in un gioco di parole, Britta, si ritrova letteralmente a coltivare il suo desiderio, in un semino regalatole da un signore di passaggio: “un semino giallo che riluceva come oro”.

Nel suo angolo di orticello Britta pianta il seme, lo annaffia, giorno per giorno, sente che deve curarlo il più possibile senza ben saperne il risultato.

Finché, un mattino spunta una cosina rossa, tondeggiante. La cosina pian piano esce dalla terra ed è un capellino, il capellino di una bambola che cresce dalla terra proprio come una piantina!

Britta non può crederci: il suo desiderio si è avverato, ha una sua bambola, con gli occhi azzurri proprio come se li aspettava ancora prima che li aprisse.

Le dà un nome, le prepara un lettino ma presto, col calar del sole, scoprirà che la sua bambola ha già un suo nome. Mirabell, non Margareta! E non solo: parla, mangia, ride e si muove, tranne quando mamma e papà sono nei paraggi: “La mamma pensa che io faccia finta di darle da mangiare, invece Mirabell mangia sul serio. Una volta mi ha anche morso un dito, ma per scherzo, s’intende.”

Alla fine, con la dolcezza che le si addice, Britta invita quanti hanno ascoltato la sua storia ad andarla a trovare, per conoscere la sua splendida e meravigliosa Mirabell, perché le cose belle, si sa, divengono ancor più belle quando si condividono! Soprattutto se dietro hanno una storia da raccontare…

Ho sempre amato questo libro per tanti motivi: parla del desiderio puro bambino, quello intriso di magia (e forse questo post cade giusto, con il Natale alle porte). Ma poi aggiunge l’attesa, che non è passiva del tipo “guardiamo le stelle cadenti”, ma è un far qualcosa per nutrire ancor più questo desiderio: qualcosa di cui forse non si sa bene il senso, ma si intuisce essere importante.

E alla fine, la meraviglia! Come descriverla altrimenti?

Da ultimo adoro l’immagine dei semi di bambola…come può nascere una bambola da un seme? Solo una bambina che la desidera così tanto lo sa!

Una nota sulle illustrazioni: descrittive al dettaglio, come piacciono a me, dai colori acquarellati ma vivaci…potrebbero raccontare la storia anche senza testo, ma certo, non si potevano omettere le parole di Astrid! Raccontano la quotidianità di Britta tra il suo essere così romanticamente bambina (e i risguardi a roselline sembrano raccontare questo) ma, al contempo, vivace, allegra (che negli anni ‘50 significava maschiaccio), che si sporca di terra nel suo orto (così come lo racconta il retro copertina, con le macchie di fango sul vestito a righe rosse e bianche incrociate).

Grazie per aver letto fin qui, se vuoi leggere altri post su libri di bambole puoi guardare qui o qui, o anche qui!

3. COME REALIZZO LE RIBAMBOLE 3: come tolgo occhi e bocca?

E siamo al terzo post sul come realizzo le mie Ribambole! Credo sia il primo passaggio dove finalmente si passa all’azione: togliere occhi, sopraccigli, bocca e altre possibili “cose” disegnate sulle bambole originariamente (qualche neo, ad esempio).

Se non sai come sono arrivata fin qui puoi leggere i post precedenti, in cui ti spiego dove trovo le bambole da ridipingere (qui) e come le ripulisco per bene (qui).

Se invece mi hai seguito fin qui, avrai la tua bambola ben pulita e profumata, pronta per essere privata del suo volto originario alquanto ammiccante.

Non vi nascondo la soddisfazione di ripulire per bene questi visini, per iniziare ad intravvedere la possibilità di un nuovo sguardo, più vicino alle bambine e ai bambini reali che con loro giocheranno.

I materiali utili

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Innanzitutto ecco i materiali che io utilizzo, o per lo meno che sto utilizzando finora: sperimento in continuazione per cui chissà che non trovi altri modi per ottenere risultati sempre più soddisfacenti!

I materiali che impiego in questa fase sono sostanzialmente tre:

  1. acetone per togliere lo smalto dalle unghie, preferibilmente atossico

  2. olio vegetale (d’oliva o mandorla)

  3. batuffoli di cotone (in numero abbondante)

Possono servire anche degli stuzzicadenti  e dello skotch.

La tecnica

Cancellare gli occhi di una bambola

Gli occhi e le sopracciglia sono la parte più facile da togliere: essendo dipinti su una superficie liscia la mano scorre con facilità. Questo avviene in particolar modo se anziché una Bratz, si ha per le mani una MoxieGirlz.

Prendi un batuffolo di cotone e imbevilo di olio, quindi spalmalo per bene su tutto il viso della bambola

Prendi un secondo batuffolo di cotone e imbevilo di acetone, quindi inizia da un occhio: con movimenti semi-circolari passa sull’occhio, facendo pressione come se stessi scavando. Non andare mai oltre lo spazio dell’occhio: il batuffolo di cotone porterebbe in giro l’inchiostro dell’occhio per il volto e, specialmente sui volti dai colori chiari, risulterebbe molto difficile da far sparire completamente.

Quando ti sembra che non accada nulla, ripassa con un po’ di olio (sempre utilizzando il cotone) e quindi torna con l’acetone: premi e scava, premi e scava, pian pianino l’inchiostro cede.

Terminato un occhio passa all’altro.

Cancellare le labbra di una bambola

Le labbra sono leggermente più impegnative, sono infatti dipinte su una superficie meno liscia, per cui una volta tolta la parte più esposta (nello stesso modo in cui hai tolto gli occhi), puoi utilizzare uno stuzzicadenti da sovrapporre al batuffolo di cotone imbevuto di alcol e andare a scavare nella fessura. Anche qui potrebbe servire qualche passaggio ripetuto di olio e acetone.

Talvolta le labbra non spariscono del tutto: nella fessura o ai lati, l’inchiostro non ne vuole sapere di andarsene. Non preoccuparti: possono essere piccoli residui a cui sovrapporre il colore senza problemi.

Può essere che alcune bambole siano più o meno cosparse di brillantini (ebbene sì, anche quelli!). Un metodo per toglierli è utilizzare un pezzetto di skotch molto adesivo: applicalo sui brillantini, premi forte e lascialo agire qualche minuto. Poi toglilo lentamente: si porterà via anche i brillantini. Se non funziona subito prova e riprova!

Consigli

Non risparmiare sul prezzo dell’acetone: un acetone conveniente spesso è di scarsa qualità. Io non me ne intendo per l’uso classico: non uso smalto per unghie, per cui ne ho sperimentati alcuni solo per lavorare con le bambole. Risparmiando, ovvero scegliendo l’acetone del discount, il processo di cancellazione è molto più lungo, quindi si consuma più prodotto e talvolta con risultati non proprio ottimi. Spendendo qualcosina in più, approdando quindi su alcune marche più conosciute (comunque mai superando i 7 euro) il procedimento è più spedito e dà anche maggiori soddisfazioni!

Non confondere i batuffoli di olio e acetone (io uso colori diversi quando me ne ricordo).

Non usare l’acetone su altre parti del corpo della bambola, in particolar modo sul torace che è fatto di plastica dura anziché morbida, e la rovinerebbe!

Grazie per aver letto fin qui, per qualsiasi domanda scrivimi…e raccontami se hai provato, come sta andando! Nel prossimo post si dipinge!

Questa bambola è mia!


IMG_0785“Lilli si è arrabbiata: “No!” ha urlato, “questa è la mia Mirtilla, l’ho portata da casa!”. Lilli sentiva che le lacrime le rigavano le guance. Avrebbe voluto sistemare la collanina rossa di Mirtilla per farla stare più comoda, ma Amalia l’abbracciava forte e voleva dormire con lei sul materassino.”

Ho trovato questo libro per caso: in biblioteca, è saltato fuori da un carrello che la bibliotecaria stava sistemando e, essendo alla ricerca di libri sulle bambole, ho pensato non fosse una coincidenza! Il libro è: di David Grossman, MIA, TUA NOSTRA, tradotto da Alessandra Shomroni, Mondadori, 2016.

È un albo illustrato, (23 x22,5cm) scritto niente meno che da David Grossman, uno straordinario autore israeliano che scrive per adulti, bambini e ragazzi. Le illustrazioni invece, nell’edizione italiana sono di Giulia Orecchia, un’illustratrice attivissima che qui ha utilizzato un mix di tecniche: collage e digitale. Mi piace molto come ha rappresentato la scuola: colori caldi, luminosi, accoglienti, come una scuola dell’infanzia dovrebbe essere. Un bellissimo dettaglio sono i disegni dei bambini appesi ai muri che sembrano originali!

Ma veniamo alla storia, che narra di una bimba, Lilli (ebbene sì, la seconda padroncina di una bambola a chiamarsi così: vedi qui) e della sua bambola: Mirtilla. Sembra una grande bambola di pezza, con i capelli rossi raccolti in un alto chignon, vestito a fantasia scozzese azzurro e ciclamino chiuso da un grande bottone, calzamaglie rosse e scarpe marroni. Indossa poi una collana di perline rosse che Lilli le sistema con cura.

Una bella mattina Lilli decide di portare Mirtilla a scuola. A scuola le cose (ovvero orsacchiotti, cagnolini di peluche e altre bambole) sono riposte negli armadietti ma vengono confuse e la piccola, al momento di andare a letto, si ritrova senza la sua Mirtilla…

È finita nell’armadietto di una bimba più piccola: Amalia (non vi racconto come, scopritelo leggendo il libro), e come fanno i bimbi piccoli, pensa sia sua. Lilli prova a dire ad Amalia di ridarle la bambola ma lo fa urlando (è disperata!): Amalia si spaventa e scoppia a piangere. Inizia il litigio e come da tradizione interviene la maestra, in difesa della più piccola: non sapendo come è andata, non può fare altrimenti.

Ma non è finita: altri due compagni di Lilli afferrano la bambola e dicono di volerla portare nella giungla…Lilli, con le ultime forze, chiede alla maestra di chiedere un’altra volta alla piccola Amalia di chi sia Mirtilla. Questa volta Amalia è sincera e la pace ritorna: Lilli ha di nuovo la sua bambola. La tragedia è risolta. I bambini si sistemano sui lettini per il riposo, ciascuno con il proprio pupazzo, tranne Amalia, che ha dimenticato il suo Coniglio. Cosa fare? Le bimbe si sdraiano vicine, nello stesso lettino, e abbracciano in silenzio Mirtilla, che fa compagnia a tutte e due mentre si addormentano.

È una storia senz’altro dolce e che descrive in modo molto realistico le vicende appassionanti che coinvolgono i bambini piccoli nelle giornate passate a scuola e gli oggetti che a loro appartengono, eletti a compagni di vita insostituibili.

Riguardo alla nostra bambola, escono due cose di questo raccontino che mi piacciono: che le maestre possono sbagliare (e poi sanno anche chiedere scusa) e che quando una bimba è affezionata ad una bambola e questa bambola le viene tolta è come se le amputassero una gamba!

Ho rivissuto, rileggendolo, una sensazione che avevo quasi dimenticato…era il 1989 (!!), facevo la prima comunione e uno dei rituali della messa prevedeva che qualcuno di noi portasse all’altare un cesto pieno di giochi, come dono simbolico. Bene, nel cesto c’erano un pallone, qualche macchinina, e una bambola: la mia (la catechista era mia mamma, per cui l’organizzazione spesso attingeva dal contesto domestico). Io avevo approvato: Martina, così si chiamava la bambola, poteva essere utilizzata per questo fine.

Solo che, al momento di decidere chi avrebbe portato questo cesto, fu scelta un’altra bambina. Tutto ok, all’inizio, ma quando ho visto la mia bambola andarsene nel cesto mi è venuto un nodo alla gola terribile, soffrivo e mi vergognavo di soffrire allo stesso tempo e per non scoppiare a piangere appena avessi aperto bocca, ho smesso di parlare. Dopo qualche tempo, qualcuno se ne è accorto, avrò avuto anche gli occhi lucidi e allora la voce preoccupata di mia mamma mi ha fatto scoppiare e ho detto la verità.

La cosa si è risolta, ho portato io il cesto. Mi sono sentita stupida: era quell’ età in cui senti che non è più il momento di giocare con le bambole ma ti piacciono ancora così tanto (per non parlare che si tratta anche del momento in cui inizia a capire che non puoi difendere le tue proprietà in modo infantile)…ma mi sono sentita anche soddisfatta: Martina sarebbe stata al sicuro!

Pensierino pedagogico (che detto così fa un po’ anni ’50!): penso spesso a questo episodio quando in qualità di adulti insistiamo a voler istigare la condivisione a tutti i costi nei bambini, in un’età che forse ha ancora un legame con le cose molto simile all’immedesimazione, al prolungamento di sé più che al possesso vero e proprio. Forse, lasciati un po’ ad elaborarlo,  a viverlo fino in fondo, sono in grado di passare alla condivisione con l’altro, senza che sia imposto dalla “buona educazione”, ma nel momento più giusto del loro sviluppo.

Grazie per aver letto fin qui, se vuoi leggere altri post su libri di bambole puoi guardare qui o qui!

Una domanda senza risposta…

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Alcuni giorni fa leggevo sulla pagina facebook di una ragazza che realizza bambole la sua sorpresa nel rilevare che, dall’apertura della pagina, in poco tempo, in tantissimi ne richiedevano, forse più di quelle che sarà in grado di realizzare.

Sempre un po’ di tempo fa, leggevo di un progetto bellissimo: la realizzazione di un percorso di cura con i malati di Alzheimer tramite l’impiego di bambole.

Ricordo, ancora, quando anni fa ad un convegno in ambito pedagogico, alcune ricercatrici inglesi presentarono un progetto di integrazione rivolto ai bambini provenienti da paesi stranieri e spesso traumatizzati da guerre e povertà, che prevedeva di usare delle bambole come loro “cuscini di emozioni” (un’espressione che mi è piaciuta tantissimo). Non c’è poi bisogno di citare il legame che può venirsi a creare tra una bambina, o bambino, e la sua bambola.

A questo punto mi stavo chiedendo: a che bisogno rispondono le bambole? Posto il gioco, poi, perché attirano così tanto? Me lo sono chiesta anch’io pensando a me stessa…possibile , riconoscendomi oramai adulta, capace di “far cose serie” e sana di mente quanto basta, che mi appassioni a questi pezzi di plastica? O, molto più, ma pur sempre inanimati, di stoffa? Per non parlare poi di quando sono fatte a mano, una diversa dall’altra e intrise della personalità di chi le crea.

È il bisogno di gioco che ci portiamo dietro dall’infanzia? È qualcosa che ha che fare con un’attrazione biologica per tutto quanto ci rappresenti come essere umani? È, ancora il bisogno di accudire qualcosa, sempre parte della nostra natura umana?

La risposta non ce l’ho, è una domanda che mi affascina da tempo e che mi fa compagnia mentre realizzo le mie Ribambole e guardo, con stupore, altre artiste crearne altre…probabilmente tornerò su questo interrogativo, non certo con una risposta ma con qualche riflessione in più di certo!